Ricorre  la  Camera  dei  deputati  in persona del Presidente on.le
 Luciano Violante in esecuzione di delibera dell'Ufficio di Presidenza
 del 25 giugno 1996 (doc. 2) e  di  delibera  dell'Assemblea  adottata
 nella  seduta  del  27  giugno  1996 (doc. 3) rapp.ta e difesa giusta
 mandato per notaio Paolo Castellini Roma in data 10  luglio  1996  n.
 51323   dall'avv.   Giuseppe  Abbamonte  insieme  al  quale  elett.te
 domicilia in Roma alla via Proba  Petronia  n.  60  presso  il  dott.
 Giovanni  Salazar  per  l'elevazione di conflitto di attribuzioni tra
 poteri dello Stato, ai sensi dell'art. 134 della  Costituzione  e  37
 legge 11 marzo 1953 n. 87, nei confronti del Tribunale penale di Roma
 sezione   giudice   indagini   preliminari   ufficio   15   che,  con
 provvedimento del 23 maggio 1996, su conforme richiesta del p.m.,  ha
 dichiarato  la  non  applicabilita'  dell'art. 68, primo comma, della
 Costituzione  e  la  trasmissione  alla  Presidenza  della Camera dei
 deputati degli atti del  procedimento  a  carico  degli  ex  deputati
 Bonafini  Flavio  e  Tagini Paolo, indagati in ordine ai reati di cui
 agli artt.    479  e  494  c.p.  perche',  secondo  la  contestazione
 giudiziaria,  in  concorso  con  deputati  assenti,  si  attribuivano
 falsamente, la qualifica e l'identita' di  altri  parlamentari  nella
 partecipazione  alla seduta della Camera dei deputati del 16 febbraio
 1995  e,  successivamente,  partecipavano  alle  operazioni  di  voto
 attestando  falsamente  la presenza e l'espressione del voto da parte
 di due deputati non presenti in aula.
   In particolare, la Camera chiede:
     a)  che  sia  dichiarata  l'invasione  di  competenza  da   parte
 dell'autorita'  giudiziaria  nella  sfera  di  autonomia garantita al
 Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni dall'art. 64 Cost;
     b) che sia annullata  per  incompetenza  l'ordinanza  del  g.i.p.
 spettando  in  esclusiva  al  Parlamento  l'esercizio  della funzione
 legislativa, in particolare nella parte disciplinata dai  regolamenti
 parlamentari  e,  conseguentemente, la valutazione dell'attivita' dei
 parlamentari anche agli effetti dell'art. 68 Cost..
                               F a t t o
   Riferisce il p.m. inquirente che  con  informativa  dell'11  aprile
 1995   i   C.C.   di   Milano   Porta   Ticinese   trasmettevano   un
 esposto-denuncia di Miglino Francesco nel quale si riferiva in merito
 alle modalita' della votazione effettuata nella seduta  della  Camera
 dei  deputati  del  16  febbraio  1995 (doc. 4) nel corso della quale
 l'on. Taddei aveva  segnalato  che  "due  deputati  della  Lega  nord
 avevano espresso quattro voti".
   Al fine di acquisire notizie utili alle indagini in ordine ai reati
 ipotizzabili  (truffa  e  falso per induzione), il p.m. richiedeva in
 data 31 ottobre 1995 (doc. 5), alla Presidenza della Camera, elementi
 informativi   sulla   disciplina   e    modalita'    di    erogazione
 dell'indennita'  giornaliera di presenza spettante ai deputati, sulla
 possibilita' di identificazione dei deputati assenti sulla  base  del
 posto   di  assegnazione,  nonche'  sull'oggetto  e  risultato  della
 votazione al fine di procedere alla prova di resistenza.
   Con nota  del  29  novembre  1995,  diretta  al  procuratore  della
 Repubblica  presso il Tribunale di Roma, il segretario generale della
 Camera dei deputati (doc. 5 a), richiamava  l'insindacabilita'  degli
 atti normativi delle Camere da parte di ogni altro potere dello Stato
 e  ribadiva  l'esclusiva  competenza  del  Presidente della Camera in
 ordine alla regolarita' delle votazioni in Assemblea ai  fini  di  un
 eventuale  annullamento  e ripetizione delle stesse; rilevava inoltre
 che l'attivita' legislativa non puo' sopportare di  essere  inficiata
 se  non  attraverso  i poteri cotituzionalmente attribuiti al giudice
 delle leggi ed eccepiva che la contestazione del falso per  induzione
 (e   del   reato   di   truffa   direttamente   connesso)  presuppone
 l'accertamento dell'irregolarita' delle  votazioni  da  parte  di  un
 organo  diverso  dalla  Presidenza  della  Camera, in contrasto con i
 richiamati principi costituzionali.
   Nella stessa nota il Segretario  generale  della  Camera,  ribadita
 l'esclusiva   competenza   delle   Camere  circa  l'accertamento  dei
 presupposti  per  l'erogazione   delle   indennita'   e   diarie   ai
 parlamentari  secondo le norme interne della Camera, comunicava che -
 in attesa dell'approvazione di una nuova disciplina in materia -  era
 stata disposta la sospensione delle ritenute per le assenze a partire
 dall'inizio del mese di febbraio 1995.
   La  medesima  nota  concludeva  affermando che l'investigazione, da
 parte dell'autorita' giudiziaria, sulla regolarita'  delle  votazioni
 della  Camera  e  sui  presupposti  per l'erogazione delle indennita'
 parlamentari,   costituiva   uno   straripamento   nella   sfera   di
 attribuzioni propria dell'autonomia del Parlamento, invitando il p.m.
 a riconsiderare la questione.
   Ciononostante  il  p.m.  proseguiva  nella sua azione ed in data 19
 febbraio 1996 il procedimento avviato contro ignoti veniva trasferito
 nel registro "R" con iscrizione dei nominativi di Bonafini  Flavio  e
 Tagini  Paolo quali indagati in ordine ai reati di cui agli artt.  48
 - 479 - 494 - 640 c.p. commesso in Roma  il  16  febbraio  1995,  con
 notizia  di  reato  in data 19 dicembre 1995: nell'imputazione non si
 parlava piu' della truffa (cfr. docc. 6 e 7).
   Nella richiesta indirizzata al G.I. e pervenuta il 3  maggio  1996,
 il  p.m. rivedeva la sua posizione in ordine alla prova di resistenza
 e manteneva l'imputazione per i delitti di falso e concludeva per  la
 non  applicabilita'  dell'art.  68  della  Costituzione  (v. doc. 7).
 Nelle argomentazioni del p.m. oltre agli artt.  476  e  494  c.p.  si
 richiamava  anche  l'art.  48  cp,  che  regola  il  caso dell'errore
 determinato dall'altrui inganno, stabilendo che  del  fatto  commesso
 dalle persone ingannate risponde chi le ha determinate a commetterlo.
   Nelle  ultime  richieste  del  p.m.  pervenute alla cancelleria del
 g.i.p. il 16 maggio 1996 (doc. 8) si dice, invece, che si procede  ai
 sensi degli artt. 476 e 494 c.p. a carico di Bonafini Flavio e Tagini
 Paolo perche' si erano arrogati falsamente la qualifica e l'identita'
 di  altri  parlamentari nella seduta della Camera dei deputati del 16
 febbraio  1995  ed  avevano  partecipato  alle  operazioni  di   voto
 attestando  falsamente la presenza e la espressione del voto da parte
 di due deputati non presenti in aula. Il p.m.  conclude  per  la  non
 applicabilita'  dell'art.  68  della  Costituzione  e la trasmissione
 degli atti alla Camera dei deputati.
   Essendo stata accolta detta richiesta con  l'ordinanza  del  g.i.p.
 indicata  nell'epigrafe del ricorso (doc. 6), si e' determinata, come
 meglio si dira' nei motivi che seguono, l'invasione  nella  sfera  di
 autonomia   della   Camera   che   l'autorita'  giudiziaria  sottace,
 riferendosi non all'art. 64 della Costituzione che tutela detta sfera
 di autonomia, bensi' all'art. 68 che, secondo  l'A.G.,  riguarderebbe
 la sola liberta' morale dei parlamentari.
   In  queste condizioni, a sostegno del conflitto che con il presente
 atto la Camera solleva a tutela della propria sfera di  attribuzioni,
 si deducono i seguenti
                              M o t i v i
   I.   -  Violazione  dell'art.  64  della  Costituzione  ed  erronea
 applicazione  dell'art.  68  nel  testo  modificato  dalla      legge
 costituzionale 29 ottobre 1993 n. 3.
   A)  Il  problema  rilevante  nella  specie e' quello dell'autonomia
 delle Camere nell'esercizio  delle  proprie  funzioni,  normative  ed
 operative  garantita  dall'art. 64 della Costituzione e non dall'art.
 68  invocato  dall'autorita'  giudiziaria,   dichiarandone   la   non
 applicabilita' e procedendo nell'azione penale. Infatti era avvenuto,
 come  detto  in  narrativa,  che  il  Presidente  aveva  accertato  e
 dichiarato l'esito della votazione (cfr. doc. 4) sulla quale si  sono
 avute,  poi, le denunzie dell'on. Taddei e del sig. Miglino; sicche',
 per quanti sforzi dialettici si  facciano,  l'imputazione  per  falso
 comporterebbe,  ove  sfociasse  in una condanna, l'accertamento della
 falsita' del verbale del 16 febbraio 1995 e l'art. 537 c.p.p. dispone
 che:
    "1. - La falsita' di un atto o  di  un  documento,  accertata  con
 sentenza di condanna, e' dichiarata nel  dispositivo.
    2. - Con lo stesso dispositivo e' ordinata la cancellazione totale
 o   parziale,   secondo   le   circostanze  e,  se  e'  il  caso,  la
 ripristinazione,  la  rinnovazione  o  la  riforma  dell'atto  o  del
 documento, con la prescrizione del modo con cui deve essere eseguita.
 La  cancellazione,  la  ripristinazione, la rinnovazione o la riforma
 non e' ordinata quando possono essere pregiudicati interessi di terzi
 non intervenuti come parti nel procedimento".
   Ora, a parte il temperamento della seconda parte del secondo comma,
 rimane la dichiarazione della falsita' dell'atto a  norma  del  primo
 comma.   Falsita'   che  non  si  vede  come  possa  conciliarsi  con
 l'attestazione  del  Presidente  e  la  validita'  stessa   dell'atto
 legislativo.
   In  altri  termini, sarebbe chiaramente lesa l'autonomia funzionale
 o, piu' semplicemente, operativa della Camera che, con giurisprudenza
 costante della Corte costituzionale e' stata affermata, proprio sulla
 base dell'art. 64 della Costituzione gia' nella sentenza della  Corte
 costituzionale   9   marzo   1959   n.   9,  che  ha  dichiarato  che
 l'applicazione delle disposizioni del regolamento della Camera e  del
 Senato  non  puo'  formare oggetto di controllo esterno: nello stesso
 senso la giurisprudenza successiva (es. sent. 28 gennaio 1970 n. 9  e
 successive).
   Ora la votazione di un disegno di legge e' materia disciplinata dai
 regolamenti parlamentari, per testuale disposto dell'art. 72 Cost. in
 cui  e'  detto che "ogni disegno di legge presentato in una Camera e'
 secondo le norme del suo regolamento esaminato da una  Commissione  e
 poi  dalla  Camera  stessa  che l'approva articolo per articolo e con
 votazione finale".
   Ed il regolamento delle Camere disciplina in  modo  tendenzialmente
 completo  le  votazioni  (v. art. 49 ss.) sicche', in primo luogo, in
 caso  di  lacune  vige   il   principio   dell'autointegrazione   del
 regolamento,  sia perche' espressione di un ordinamento autonomo, sia
 perche' tende ad esaurire la materia delle  votazioni  in  esecuzione
 dell'art.  72  della  Costituzione.  Per  quanto  riguarda,  poi,  le
 irregolarita' delle votazioni spetta al Presidente, a norma dell'art.
 57 (nonche' 2 ed 8) del regolamento, apprezzarne  le  circostanze  ed
 annullare, eventualmente, la votazione, disponendo che sia rinnovata.
 Spetta,  poi,  sempre  allo stesso Presidente proclamare il risultato
 della votazione con una formula tipica  -  la  Camera  approva  o  la
 Camera   respinge   -  proclamazione  che,  nello  stesso  tempo,  e'
 rilevazione e  certificazione dei risultati, che vengono espressi, si
 ripete,  con  formula  tipica  e  nell'esercizio  di  una  competenza
 esclusiva  attribuita da un tipo di regolamento, quello parlamentare,
 al quale la Costituzione riconosce  la  valenza  di  norma  idonea  a
 disciplinare, in esclusiva, il procedimento di formazione delle leggi
 per quanto non regolato dalla Costituzione; sicche', nella materia di
 detto  procedimento  non esiste altra fonte se non la Costituzione ed
 il regolamento parlamentare, con esclusione di qualsiasi  altro  tipo
 di intervento.
   La  stessa  Corte costituzionale puo' intervenire unicamente per le
 parti del procedimento legislativo oggetto di norme costituzionali  e
 non  pure  per  le  materie  regolate  e disciplinate dai regolamenti
 parlamentari (Corte costituzionale 9 luglio 1959 n. 9).
   Ne',  stante   la   fonte   di   legittimazione   dei   regolamenti
 parlamentari,  sono  ammesse  questioni  di legittimita' degli stessi
 (Corte costituzionale 23 maggio 1985 n.  154)  o  disapplicazione  da
 parte del g.o. (Cass.  23 aprile 1986 n. 2861).
   B)  Cio'  in coerenza con il concetto stesso di autonomia che e' la
 potesta' di darsi le proprie regole formando il  proprio  ordinamento
 ed  operando  all'interno  dello stesso; con la precisazione che, per
 quel che riguarda le Camere, l'investitura dei componenti deriva  dal
 popolo  detentore  della  sovranita'  e l'attribuzione della potesta'
 regolamentare e' nella Costituzione,  sicche'  i  rappresentanti  del
 popolo  si  danno  le  norme  per  l'esercizio  delle  loro  funzioni
 disciplinandone procedure e controlli, con il solo limite delle norme
 costituzionali  per  quanto  direttamente  regolino  le  procedure  e
 condizionino  i  contenuti; e l'osservanza delle norme costituzionali
 e' garantita dalla Corte costituzionale (art. 134 Cost.) la quale,  a
 sua  volta,  ha precisato che "spetta alla Camera di appartenenza del
 parlamentare di valutare le condizioni di insindacabilita', ai  sensi
 dell'art.   68,   primo   comma,  Cost.,  in  quanto  le  prerogative
 parlamentari non possono  non  implicare  un  potere  dell'organo  di
 controllo  a tutela del quale sono disposte (Corte cost.: 16 dicembre
 1993 n. 443; 24 aprile 1996 n. 129).
   La vicenda attuale evidenzia, per quanto si e' detto  e  si  dira',
 che  questa  competenza riconosciuta alla Camera di appartenenza deve
 comprendere anche il modus procedendi del parlamentare, se  si  vuole
 tutelare   la   funzione   del  Parlamento  cui,  in  definitiva,  si
 riconnettono le prerogative dei suoi componenti.
   Su  queste  premesse  sembra  ovvio  doversi  negare  il  sindacato
 giudiziario  sui  fatti  che  avvengono nell'esercizio delle funzioni
 della Camera per quanto disciplinate dal  relativo  regolamento,  cui
 rinviano  precise norme costituzionali che hanno recepito, per quanto
 escludono il controllo  dall'esterno,  la  tradizione  degli  interna
 corporis.
   Tradizione  che,  intesa  in termini attuali, significa garanzia di
 indiscutibilita' all'esterno delle procedure parlamentari, per quanto
 non regolate dalla Costituzione, con il non indifferente vantaggio di
 garantire alle assemblee politiche una sfera di insindacabilita', che
 non riguarda il prodotto normativo sempre assoggettato  al  sindacato
 di costituzionalita' bensi' l'esercizio della funzione, nel suo farsi
 che,  non  senza  grave  pericolo  e per l'ordine giuridico e per gli
 equilibri politici, sarebbe sottoposto  alle  norme  dell'ordinamento
 generale.
   Le  norme  dell'ordinamento  generale  regolano infatti realta' del
 tutto diverse, nelle motivazioni, nei comportamenti  e  nei  fini  e,
 soprattutto, nell'incidenza, dato che per ogni soggetto di diritto e'
 possibile,  di  regola,  limitare  gli  effetti della sua azione alla
 sfera individuale; non altrettanto accadrebbe, invece, applicando  le
 stesse regole elaborate per disciplinare il comportamento dei singoli
 sulla  base  delle  motivazioni che li sorreggono e degli effetti che
 producono, allo svolgimento della vita delle assemblee politiche, che
 hanno  altre  motivazioni  e  dove ognuno dei parlamentari si rivolge
 nell'esercizio della sua funzione, anzitutto al pubblico  e  tende  a
 produrre  effetti  nella  sfera  della  politica,  sicche' i relativi
 comportamenti  debbono  essere  apprezzati  secondo  le  piu'   ampie
 motivazioni  che  li  determinano  ed  i  diffusi effetti che possono
 produrre.
   Con la conseguenza  che  il  diritto  che  deriva  dai  regolamenti
 parlamentari  costituisce  un  regime  speciale    per  gli atti ed i
 comportamenti che regola: atti e  comportamenti  non  assimilabili  a
 quelli che si verificano
  nell'ambito  dell'ordinamento  generale  ne'  nelle  motivazioni ne'
 negli effetti anche se, sotto  certi  aspetti,  si  possono  cogliere
 simiglianze  di  azioni,  che  pero',  subito, si caratterizzano come
 diversita' se considerate nelle motivazioni  e nei fini tanto che non
 sarebbe  agevole  ravvisarvi  figure  tipiche   di   reato   se   non
 rifugiandosi nella materialita'  del fatto.
   C)  E c'e' di piu' perche' per casi del tipo di quelli per il quale
 il p.m. pretende di procedere non mancano precedenti parlamentari  ed
 in proposito la discussione che e' sorta e' stata orientata nel senso
 della  modifica  degli  artt.  59  e  60 del regolamento, concernenti
 l'ordine delle sedute e l'irrogazione di  sanzioni  disciplinari  "al
 fine  di introdurre previsioni che tengano specificamente conto delle
 nuove  modalita'  di  votazione  e  consentano  di  sanzionare   piu'
 severamente ogni irregolarita' (v. verbale dell'ufficio di presidenza
 del 23 settembre 1993 in Bollettino degli organi collegiali n. 15 del
 25 novembre 1993 esibito a doc. 9) e la sanzione adottata a carico di
 un deputato che aveva votato due volte e' stata la deplorazione (doc.
 9  cit.);  sicche'  si  e' rimasti nei limiti delle sanzioni previste
 dall'ordinamento della Camera.
   Nello stesso senso sono i precedenti a  carico  di  altro  deputato
 ripreso  da  una  telecamera mentre votava al posto di colleghi (doc.
 10). Si e' rimasti, cioe', nei  limiti  dell'ordinamento  autonomo  e
 delle   sanzioni  relative  appunto  perche'  si  tratta  di  materia
 disciplinata  dal  regolamento  della  Camera   ed   attinente   alle
 votazioni,  comprese,  quindi,  nella  sfera  di  autonomia  tutelata
 dall'art. 64 Cost., sulla base delle motivazioni storiche e  tecniche
 che  si  e'  cercato  di  riassumere.    E  si e' gia' accennato e si
 ritornera'  sul  punto,   ai   distruttivi   inconvenienti   che   si
 verificherebbero  ricorrendo al sistema penale per sanzionare il c.d.
 doppio voto che facilmente  diventerebbe  strumento  per  invalidare,
 magari  a  distanza  di  molto  tempo,  leggi in vigore, ad opera dei
 parlamentari che fossero riusciti ad inquinare con il doppio voto  la
 procedura di approvazione, proprio per farla cadere.
   II.  -  Violazione  degli  artt.  64  e 68 della Costituzione sotto
 diversi profili.
   A)  La  vicenda  sottoposta  all'esame  della  Corte  evidenzia  un
 comportamento  piu'  che perplesso dell'autorita' giudiziaria che via
 via si diversifica in senso riduttivo. L'a.g. infatti e'  partita  da
 una  imputazione  per  falso  e truffa con richiesta dell'esito della
 votazione, per poter fare la prova di resistenza,  secondo  la  prima
 missiva  del  dr.    Fuzio (doc. 5); vi e' poi l'imputazione di falso
 elevata a carico di Bonafini e Tagini il 19 febbraio 1996 in  cui  si
 contestava  anche il falso per induzione (vedi pag. 2 delle richieste
 pervenute il 3 maggio 1995 al  g.i.p.,  doc.  7  in  cui,  pero',  si
 esclude la prova di resistenza e la truffa); infine non si parla piu'
 del  falso  per induzione (v. le stesse richieste a doc. 7 nonche' la
 nota del p.m.  del 16 maggio 1996 a doc. 8).
   Evidentemente l'a.g. si e' preoccupata  delle  indicazioni  fornite
 nel  corso  del  processo  nel  senso  dell'autonomia  della Camera e
 conclude dichiarando l'inapplicabilita' dell'art. 68 unicamente per i
 reati di falso a carico dei due ex deputati.
   Ma queste  restrizioni  successive  delle  proprie  richieste  sono
 controproducenti  perche', da un lato, evidenziano le perplessita' di
 chi procede e, dall'altro, dimenticano che  il  falso  contestato  si
 pone  in  netta  antitesi  con  l'attestazione e la proclamazione dei
 risultati della votazione compiuta dal Presidente della Camera e,  se
 accertato  in  sede penale, comporta per legge la dichiarazione della
 falsita' del documento che non si concilia con la validita' dell'atto
 legislativo e la competenza della  Corte  costituzionale  in  materia
 (artt. 537, primo comma c.p.p. e 134 Cost.).
   B)  D'altronde la dichiarata inapplicabilita' dell'art. 68 non solo
 viola l'art. 64 come detto sin qui ma, in  se  stessa,  non  ha  base
 nella   lettera  dell'art.  68  e  neppure  nella  sua  funzione,  se
 rapportata non solo alla garanzia della liberta' del parlamentare  ed
 alla immunita' da sanzioni, ma anche alle condizioni in cui si svolge
 la funzione stessa, in nessun momento scindibile dalla provenienza di
 coloro  che  la  esercitano  e dalle motivazioni che ne determinano i
 comportamenti; art. 68 che, d'altronde,  non  puo'  essere  invocato,
 come  ha fatto il  g.i.p. ignorando l'art. 64 che tutela l'organo nel
 suo complesso e la funzione ad esso  affidata  dall'art.  70  con  le
 relative modalita' ex art. 72.
   Visione  coordinata  di  norme,  necessaria  per coglierne il pieno
 significato  dell'attivita'  del  Parlamento  e   che   consente   di
 qualificare asistematico ed antistorico il richiamo isolato di una di
 esse, per perseguire il comportamento del parlamentare, incidente nel
 procedimento legislativo.
   Non  e'  percio'  accettabile  la  posizione  dell'a.g. che intende
 procedere dichiarando l'inapplicabilita' dell'art. 68,  quando,  poi,
 tra  l'altro,  procedendo,  invade  il  potere di autocontrollo delle
 Camere nell'applicazione dei  propri  regolamenti,  interferisce  nel
 potere  sanzionatorio  delle  stesse  verso i rispettivi componenti e
 mette in moto un procedimento che puo' avere le conseguenze  previste
 dal gia' ricordato art. 537.
   C)  Ma  c'e'  di  piu'  perche'  se  la tutela dell'autonomia nella
 formazione e nell'applicazione del regolamento  e  l'insindacabilita'
 del   voto   e   dei   procedimenti   disciplinati   dai  regolamenti
 parlamentari, impedisce che il parlamentare possa  andare  oltre  gli
 effetti  dell'opposizione in Parlamento, assumendo comportamenti che,
 secondo  l'ordinamento  generale,  possono   invalidare   l'attivita'
 compiuta  dal  Parlamento, il richiamo all'obbligatorieta dell'azione
 penale mostra tutti i suoi limiti,  perche'  e'  proprio  il  sistema
 penale  che  puo'  essere,  se  esercitato,  strumentalizzato al fine
 politico di invalidare l'attivita' del Parlamento, tutte le volte che
 questa sia sgradita a  minoranze  spregiudicate  ma  determinate  nel
 perseguire il loro disegno. E qui torna utile ricordare che non poche
 volte  le  minoranze  attive  hanno  potuto,  in  vari modi, avere il
 sopravvento   contro   indirizzi   maggioritari   legittimamente    e
 faticosamente elaborati.
   D)  Certo  il risultato sin qui raggiunto ha sapore di forte agrume
 per il giurista abituato alla sovranita'  dell'ordinamento  generale,
 all'indefettibilita'  della  tutela penale, alla subordinazione degli
 ordinamenti derivati. Ma e' proprio a questo punto che  si  raggiunge
 la chiarificazione perche', quando si pone il problema dell'autonomia
 delle   Camere   nella  formazione  ed  applicazione  dei  rispettivi
 regolamenti, meglio si direbbe nell'esercizio del loro mandato non si
 e' in presenza di un ordinamento derivato bensi'  di  una  componente
 essenziale  dell'ordinamento  statale in cui la politica prende forma
 in atti capaci di imporsi alla generalita': processo questo che  puo'
 essere  disciplinato  solo  da  quelle  regole che, attraverso lunghe
 esperienze,  si  sono  formate,  rispondendo  alla   necessita'   del
 costituzionalismo     moderno    di    esprimere    un    ordinamento
 democraticamente formato sempre diveniente, secondo le istanze  delle
 comunita' rappresentate.
   Che  l'azione  penale  sia  obbligatoria  secondo  l'art. 112 della
 Costituzione significa solo che in una costituzione lunga come e'  la
 nostra,  si e' voluta garantire nell'ambito dell'ordinamento generale
 la certezza della  pena.  Ma,  a  parte  che  non  si  tratta  di  un
 potere-dovere  incondizionato  del  p.m.,  il  fatto stesso che detto
 potere-dovere e' previsto nella Costituzione,  impone  -  secondo  il
 principio  della  coerenza  intrinseca di ogni tipo di ordinamento, a
 cominciare dall'ordinamento costituzionale  -  che  l'obbligatorieta'
 dell'azione  penale non comporti la rottura di fondamentali equilibri
 e l'obliterazione di caratteristiche fondamentali di altre  funzioni.
 In  particolare,  le  funzioni  parlamentari sono previste e regolate
 dalla  stessa  Costituzione,  tenendo  conto  della  provenieza   dei
 soggetti   operatori,   delle  esperienze  storiche  maturate,  della
 conseguente necessita' di affermare certe  prerogative,  che  sarebbe
 erroneo costruire come privilegi, corrispondendo esse ad esigenze che
 non e' improprio definire ambientali ed alle quali non potrebbe darsi
 altra risposta, come si e' cercato di dimostrare nelle considerazioni
 sin  qui  svolte.  Le norme dell'ordinamento generale sono inidonee a
 comprendere  la  politica  mentre  si  fa  norma  giuridica  ed  ogni
 invasione  e'  controproducente,  proprio  sul piano dell'ordinamento
 giuridico,  per  quanto   e'   destinato   a   garantire   il   bene,
 irrinunciabile  in democrazia, del funzionamento del sistema politico
 secondo gli orientamenti di base.
   Gli  organi  rappresentativi  debbono  potersi   autogovernare   ed
 autocontrollare  sotto  gli  occhi  dei  loro  mandanti e le sanzioni
 parlamentari valgono anche a richiamare l'attenzione  dell'elettorato
 sui   comportamenti   dei  parlamentari  serbandone  la  memoria  per
 l'avvenire.